Rose inglesi a colazione

– Pronto?

– Dimmi, stai annusando anche tu una rosa inglese come me, in questo momento?

Che lui scoprisse dove fosse, l’aveva previsto. Quello che Eva non poteva immaginare era che lui la prendesse in contropiede in quella maniera, irrompendo nella sua quiete con un’immagine così forte e sensuale.

Ettore, sempre lui.

Lei immagina la scena dall’altra parte della cornetta, sospira, esita un attimo.

Ettore ama le rose inglesi, è bravissimo con i roseti, lo dichiarano tutte le piante del suo giardino pensile.

Eva non può certo negare a sé stessa che i lineamenti quasi aristocratici, lo sguardo languido, il fisico atletico e le braccia sicure di lui abbiano presa sulla sua fantasia. Al tempo stesso, si ripete che Ettore non lo dovrà mai sapere; così esita ancora un attimo, poi repentina ritrova la determinazione.

Sta per dirgli qualcosa quando lui l’anticipa.

– Non mi dire che hai stampato le foto di noi a Ravello e le hai sistemate da qualche parte nella tua casa di Cervo. Perché è lì che ti trovi.

– Sarei così prevedibile?

– Eva, tu detesti i momenti critici. Hai rimesso a nuovo quel rudere medievale esclusivamente per rintanarti nei momenti down. Hai attivato la linea telefonica per staccare il cellulare e sparire. Non sei prevedibile: sei una Pollicina che lascia briciole per i più attenti. L’hai fatto tre anni fa, figurati se non è lì che sei ora, col lockdown.

“Affondata anche ‘sta volta” pensa lei.

– Ce l’ho io una domanda per te, adesso.

– Prego, dica pure, signor Landischi.

– Volevi che ti trovassi?

– Sempre in vena di scherzi e vendette, Ettore. Finiscila con questo tono da ammaliatore, – e chiude.

Tu-tu-tu-tu-tu.

Dall’altra parte, anche Ettore ha una linea fissa. Ricompone il numero sul cordless mentre fischietta e cammina cauto per quello splendore di casa in cui vive. Le finestre sono aperte, le tende bianche si gonfiano per la brezza leggera. E sembra che invece, a smuoverle, sia il fischiettio di lui.

Eva lascia cadere nel vuoto gli squilli, alle sue spalle. È immobile sulla soglia d’ingresso della sua casa a Cervo, mentre il Sole sparendo regala una luce dorata. Quando il telefono smette di suonare, restando ferma, braccia allargate tra gli stipiti come a tenerli distanti, gira soltanto il capo e comincia a fissare il telefono.

La verità è che ha un tarlo, da sei anni a questa parte, a cui ha deciso di non cedere.

Prova a immaginarsi in quella posa plastica, scoppia a ridere e lascia cadere le braccia.

“Provo a tenere distanti persino questi due pezzi di legno. Chissà se Casalino fa rientrare anche loro in quel congiunti” dice a bassa voce. Cerca di nascondere a sé stessa la speranza di un secondo tentativo da parte di Ettore. Non arriva. Inizia a camminare su e giù per la casa, decide di innaffiare le piante sulla veranda d’ingresso.

Ironia della sorte, con l’innaffiatoio in mano e l’acqua che forma archi sottili, sta ammirando le rose quando il telefono riprende a squillare, venti minuti dopo.

Corre in casa, ha i piedi scalzi, tira su la cornetta senza proferir parola. Le labbra sono socchiuse, la sua speranza vorrebbe anticipare un nome e indovinarlo.

– Hai aspettato venti minuti, hai cercato di cacciare indietro l’attesa di un mio secondo tentativo e adesso ascoltalo, il tuo desiderio: ascolta come ti ha fatto correre verso la cornetta, come ti ha accorciato il fiato, come ora respiri con affanno.

Bingo. Senza pronunciare il nome, la speranza s’è avverata. Il silenzio si interpone fra loro.

La luce dorata si fa più intensa, dalle finestre riflessi geometrici tagliano e attraversano la casa.

– Dimmi, Eva, hai lo smalto sui piedi nudi?

Tutto era cominciato sei anni prima.

Fotografia: © Alessandro Pession

Eva ed Ettore si conoscevano da quando erano dei mocciosi: quei marmocchi chiamati tutti frecamidolce dai loro genitori, quella grande compagnia di amici storici cresciuti sempre insieme, senza mai perdersi, nemmeno tra il lavoro, le mogli e i figli che sarebbero arrivati anni dopo. Erano loro i frecamidolce: i loro figli.

Sei anni prima, dopo molto tempo, c’era stata un’altra delle loro giornatacce: chiamavano così, un po’ per scaramanzia un po’ per euforia, le giornate di Ferragosto in cui si ritrovavano e trascorrevano tutto il tempo lontano dalla frenesia della città. Negli anni era diventato sempre più difficile mantenere la tradizione che, inevitabilmente, s’andava diradando, ma quell’anno ce  l’avevano fatta: 15 Agosto 2014, tutti presenti dopo molte annate saltate. Come sempre, ad ospitarli era la villa di Aldo.

In quella giornataccia, Ettore aveva raggiunto gli altri quasi all’ora di pranzo. Vedendolo arrivare col suo Land Rover, Eva era corsa a nascondersi nell’agrumeto di Aldo, amico fraterno di suo padre sin dai tempi dell’università. Ettore, però, l’aveva scovata.

“Trovata. Pensavano che te ne fossi andata, una delle tue tante scomparse all’improvviso. Eva, manchi tu alla lunga carrellata di saluti. Vieni qui, fatti salutare bene dal tuo Ettore”, le aveva detto arrivandole vicino. “Voglio dedicarti l’abbraccio più bello di oggi.”

“Risparmiamelo, per favore”, aveva risposto Eva ed Ettore, pronto a giocare con i doppi sensi, aveva prontamente reagito. “Cosa, lui?”, le aveva chiesto divertito e contemporaneamente, con le mani nelle tasche, aveva tirato il tessuto delle bermuda che indossava e abbassato la testa senza distogliere lo sguardo da lei. Il tessuto così stirato metteva bene in evidenza il contenuto delle bermuda. Inevitabilmente, la reazione di Eva era stata un’esclamazione non proprio complimentosa nei suoi confronti, rinforzata da un sonoro ceffone. Poco dopo, però, passeggiavano tranquillamente, dirigendosi verso la tavola già apparecchiata, dove tutti stavano prendendo posto. Ettore era sempre stato così con Eva: prima la metteva a disagio istigandola a reagire, poi la rabboniva. Anche quel giorno aveva seguito il solito copione. “Mi hai fatto male per davvero, sai?!” si era lamentato lui, “Esattamente quello che volevo, sai?” aveva ribattuto lei, e intanto che rideva lui l’aveva avvicinata a sé prendendola per un braccio, le aveva cinto il fianco destro e aveva iniziato a camminare con lei affianco. Eva seguiva quei passi posando sulla spalla destra di lui la propria mano sinistra. Se si fossero chiusi a cerchio, avrebbero potuto iniziare a ballare, invece camminavano e parlavano ridendo. Era stato allora, durante quei passi, che il rapporto fra loro aveva iniziato a cambiare.

“Se non fossimo cresciuti praticamente insieme, io ci proverei con te. Io sono un uomo, tu sei diventata una bella donna, non ti manca niente. Se non ti conoscessi così bene da reputarci fratelli nelle nostre teste, direi che per fortuna l’unica cosa che ti manca è un uomo. Più ci penso, più mi dico che non essere mai stati estranei è la più grossa fregatura che la vita potesse riservarmi”: questo le aveva dichiarato Ettore quel giorno di sei anni prima, tra un tentativo e l’altro di Eva di sabotarne la rivelazione.

Quello stesso giorno, un po’ per sfida un po’ per provocazione, Eva aveva accettato l’invito di lui a fare due viaggi insieme: prima a Ravello, poi a Parigi. Eva era stata al gioco, ma dettando  le sue regole. Era accaduto così che a Ravello ci fossero stati davvero, ma giungendo ognuno per conto proprio. Tre giorni della tarda estate del 2014, tuffandosi in mare coi vestiti – ché le giornate ormai non erano più calde ma il mare e le corse scalze sulla sabbia erano così invitanti -, divertendosi e tradendo gli amici che erano sempre stati e la rivalità complice che sempre li aveva tenuti distanti.

Tornata a casa da quel weekend, seduta sul bordo del proprio letto, coi biglietti per Parigi che le aveva regalato salutandola, Eva aveva deciso che non sarebbe mai partita con lui per la Francia. Tramite posta gli aveva restituito le carte d’imbarco: in una mattina di tardo Ottobre un corriere consegnava a Ettore una scatola. Al suo interno, una lettera troppo grande per le poche parole scritte, una rosa inglese e i documenti di viaggio.

Ettore aveva pensato che Eva non potesse essere più crudele: usare le sue amate rose inglesi, quelle che lui preferiva tra tutte, per ferirlo così aspramente. “Potevi mandarmi solo le spine strappate dagli steli, invece no” aveva pensato dopo aver letto le righe scarne di Eva.

L’avvocato Landischi incassava il colpo. Quali vantaggi e quali svantaggi ha il rivelarsi? Esisteva una giustizia a favore del coraggio? Come quelle spine, anche l’ago della bilancia pungeva perché sfavorevole. E la colazione gli andava storta.

Tutto questo ripercorrono e rivivono nelle proprie menti Eva ed Ettore, nel silenzio sospeso tra etere e telefoni, ognuno per proprio conto, senza dichiararselo.

Anche questa volta a rompere l’attesa è Ettore.

– Le rose inglesi soltanto mancano nei sogni che da anni mi cercano, di notte, nonostante tu continui a mancarmi. E le spine non pungono come invece dovrebbero. Ti piace? È una poesia di Alberto. Me l’ha regalata due anni fa, quando siamo stati da te. Chissà chi gliel’ha ispirata.

Eva chiude gli occhi. Una lacrima scende giù.

– Ettore, puoi avere tutte le donne che desideri, il mondo è pieno di donne, perché continui con questa follia?

Ettore coglie la tristezza nella voce di Eva, la conosce troppo bene. Del resto, il problema tra loro è proprio questo.

– Potrei raggiungerti in Liguria, non sarebbe un problema per me trovare la soluzione al confinamento.

– Ettore, no.

– Perché per una volta non metti da parte la tua stupida resistenza? Che problema c’è? Io sono single, tu sei single, ci troviamo e vediamo come va. Se non va, amici come prima e nessuno lo saprebbe mai.

– Ci penso. Il 4 Maggio è vicino. Forse Conte permette a qualche donna più promettente di me di farsi avanti fino ad allora e io sono salva daccapo, – Eva ha capito che deve rompere la tensione con la sua solita ironia: – Adesso vado a farmi un bagno nell’amuchina.

– Perché non metti quel tuo bel portatile in bagno, signora Eva Zelda Ayroldi? Mi inviti su Zoom e fai la doccia davanti a me che ti osservo dal mio letto.

– Il mio computer è vecchio, non può prendere umidità.

– Pensi che ti bagneresti così tanto, Eva, vedendomi a torso nudo su un letto?

– Vedi? Sono sprecate le rose inglesi per te, per quanto ti piacciano.

– È che anche al centro delle rose inglesi puoi immergere bene le dita, Eva. Tu vieni dall’Eden, dal giardino per eccellenza, dovresti saperlo meglio di me.

– Certo. È per questo che manderò il serpente a mangiarti, dopo averti fatto ammazzare da un sicario. Sai com’è: se il serpente dovesse morderti, rischierebbe di infettarsi col tuo veleno.

– Mandami un sicario in stile Mille e una notte, però, ti prego.

– Il problema non è che ci conosciamo da troppo: è che sei stronzo sempre.

– Sono sempre il re delle rose, tesoro.

A chiudere la telefona, adesso, è Ettore.

Eva sorride, abbassa la cornetta, guarda fuori il Sole ormai basso.

Salendo le scale per raggiungere il bagno, inizia a spogliarsi per la doccia.

Il computer resta immobile sul tavolo, in veranda.

To be continued…

Istruzioni per la lettura:

Questo racconto, come molti altri scritti dal 2016 in poi, è da considerarsi uno spin-off di Piccoli silenzi desiderabili, pubblicato nel 2014.

Puntata precedente:
http://www.luanalamparelli.it/are-you-lonely-tonight/

Spin-off da leggere per capire qualcosa di più sui fatti riportati nella puntata precedente e sulla casa a Cervo di Eva:
https://www.versanteripido.it/lamparelli-racconto/

Commenti a margine:

Are you lonely tonight è un progetto un po’ più grande, ma si scoprirà col tempo. I suoi personaggi principali sono alcuni dei protagonisti di Piccoli silenzi desiderabili, il mio secondo romanzo non più in commercio (forse ci sono due copie in un magazzino preciso di un sito distribuzione online, che non ho mai ritirato come invece tutte le altre). La giornataccia di cui si riporta qualche dettaglio in questo racconto fa parte dell’ultimo capitolo di quel romanzo. Altre tracce dei protagonisti sono diffuse nel web, sparse in altri racconti non riportati su questo sito-blog. Con questo progetto, s’intrecciano fatti vecchi e vicende contemporanee, legate al confinamento nazionale e alla pandemia che stiamo vivendo; si ritrovano protagonisti che molti lettori hanno conosciuto (e amato), se ne scoprono nuovi. Magari, nelle notti in cui siete soli e insonni o nottambuli, vi terranno compagnia e vi faranno sognare, oppure vi faranno prendere coscienza. A mezzanotte di ogni giovedì, quando li pubblico come appuntamento settimanale, vi racconteranno un nuovo pezzetto di storia. Un po’ come se io dicessi a ciascuno di voi “A mezzanotte t’invento, a mezzanotte sai”.

Luana

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Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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