Storie del buongiorno per genitori coraggiosi

La copertina italiana del libro

Lucio Dalla cantava: “…ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”.

Una mia amica sosteneva: “Visti da vicino, sotto una lente d’ingrandimento, nessuno è normale”.

La psicologia insegna che il concetto di normalità non esiste in assoluto: ogni società ha elaborato la propria definizione. Diverse concezioni di “normalità”, dunque, una per ogni cultura, ognuna con un’ampia sfera di comportamenti accettati e condivisi dalla società a cui quella cultura appartiene. Sostanzialmente questo significa che quanto, secondo una cultura di riferimento, è giusto fare e quindi insegnare ai propri figli, per molte altre potrebbe non esserlo. Quello che è “normale” per gli eschimesi in termini di ospitalità, per esempio,  non è moralmente condivisibile né eticamente accettabile agli occhi di noi occidentali, quindi per noi sarebbe anormale.

Chi dei due ha ragione, dunque, tra la mia amica e Lucio Dalla?

Per rispondere, vorrei scomodare una parola che è andata tanto di moda qualche anno fa: “ribelle”. Usato al plurale femminile, abbinato a un sostantivo tanto a cuore per mamme e papà, ha segnato un’incursione editoriale che ha attratto molti genitori. L’opera a cui mi riferisco è “Storie della buona notte per bambine ribelli”, approdata in Italia nel 2017. “Cento vite di donne straordinarie” è il sottotitolo riportato in copertina. E figuriamoci se non attecchisse in terra nazionale, con tutte le mamme e i papà che vogliono figlie eccezionali!

Cosa significa “ribelle”? Erano davvero tremende e incorreggibili queste donne da bambine? Erano ingestibili, a prova di signorina Rottermeier, pestifere?

E poi per quale ragione aprire un filone letterario con questo titolo, “Storie della buona notte per bambine ribelli”? Dopo il modello della principessa, vogliamo forse inculcare alle nostre figlie che, se non si è ribelli da piccole, da grandi non si sarà donne degne di nota?

Con occhio da educatrice – e non me ne voglia nessuno – ho personalmente bocciato  questo titolo (sottolineo: il titolo, non l’opera, non il suo contenuto). Un titolo da trovata commerciale, diciamocelo. Perché il libro racconta di donne passate alla storia per il proprio talento, per il proprio impegno sociale, per la propria tenacia. Frida Kahlo, Rita Levi Montalcini, Margherita Hack e molte altre sono le donne ritratte da illustratrici e autrici che ne narrano le gesta. Donne senza dubbio intelligenti, forti, determinate, con una grande motivazione e un’irrefrenabile forza di volontà. Ma, appunto, donne. Quando bambine, nessuno sapeva cosa sarebbero diventate da grandi:  se guerriere, pioniere o casalinghe. Nessuno, nemmeno i genitori. I genitori: a mio parere, noi tutti dovremmo guardare a questi ultimi come i veri autori del successo delle proprie figlie. Perché, volenti o nolenti, hanno saputo trasmettere a queste piccole donne, inconsapevoli del proprio destino, il dono più bello che si possa fare: il coraggio di essere se stesse. L’insegnamento più grande, col più alto grado di virtù, che un genitore possa tramandare a suo figlio (bambino o bambina, naturale, adottato o in vitro che sia) è la capacità di essere sé stessi, di conoscersi, di scoprirsi e di percorrere la propria strada, tracciando il proprio cammino, inventandolo e realizzandolo passo dopo passo.

Genitori ribelli sono, per me, uomini e donne capaci di sostenere le differenze delle proprie figlie, di incoraggiarne l’unicità, di guardare ai loro tratti caratteriali distintivi come punti di forza da valorizzare. Sono stati, per me, uomini e donne capaci di non far temere ai propri figli limiti e difetti, quanto piuttosto di renderli capaci di guardarli in faccia per affrontarli o accettarli.

E comunque “ribelle” non rende ancora bene. Lo sostituirei con rivoluzionari. Rivoluzionari sono i genitori così. Per me sono rivoluzionari tutti quei genitori che amano e sorreggono i propri pargoli per quello che realmente sono e non per quello che vorrebbero che fossero, perché è solo così che gli permetteranno di crescere sereni, di affrontare le sfide di tutti i giorni con un sentire invincibile nonostante tutto, al di là delle rese umane e momentanee. Diventeranno astronaute, dottoresse, scrittrici, casalinghe, maestre le loro figlie? Saranno contadini, ingegneri, professori, collaboratori scolastici i propri figli? Non ho le risposte sulle professioni: so solo che saranno uomini e donne coraggiosi, consapevoli, capaci di aiutare a loro volta gli altri nel trovare la propria strada. So solo che saranno donne capaci di parlare per esprimere le proprie idee e uomini capaci di sostenerle. Insieme potranno creare contesti migliori nelle nostre società.

Qualcuno potrà obiettare che, magari, non tutti i genitori delle grandi donne di cui il nostro libro di riferimento racconta sono stati così, ed effettivamente noi non sappiamo se fossero attenti o assenti nella loro vita, se fossero presenti qualitativamente o quantitativamente; io in primis non voglio nemmeno star lì a indagare e ricercare possibili risposte.

Perché quello che conta, secondo me, a ben pensarci, è essere capaci di accendere una scintilla, in questi bambini; anche solo attraverso un pertugio, mostrargli un infinito di stelle e fargli capire, come dice Margherita Hack, che siamo figli delle stelle. Possiamo brillare anche noi, se desiderio, coraggio e consapevolezza ci animano.

A questo libro vorrei affiancarne un altro, che però è fuori collana: “Natural born loser”, di Oliver Phommavanh. Nel titolo di copertina c’è un’altra parola, graficamente barrata, subito dopo born: questa parola, cancellata come fosse un errore, è “leader”. Il libro? Racconta di come non è facile o immediato diventare leader, e quindi vincenti: bisogna tirar fuori il meglio di sé per scoprire, meravigliosamente, che sotto quella scorza iniziale si indossa già la tuta dell’eroe. Come fossimo tutti Superman senza mai aver allentato prima la cravatta. In fondo, diventare leader significa prima di tutto saper fare squadra, saper supportare gli altri, e chi può riuscirci meglio se non tutti quelli che hanno perso mille volte rialzandosi sempre, ogni volta con più consapevolezza e determinazione?

Per quanto riguarda la ribellione, piuttosto che usarla come etichetta per bambini e bambine, vorrei lasciarla per gli schemi, i prototipi, gli stereotipi; vorrei fosse usata contro i bavagli alla voce critica ma costruttiva e per tutto ciò contro cui è giusto andare, ma sempre con dignità, rispetto, intelligenza. A tal proposito, vorrei aggiungere che rivoluzionari in modo viscerale sono tutti i genitori che amano incondizionatamente i loro bambini disabili, che non smettono mai di riporre fiducia in loro pur essendo realistici. Quei genitori che hanno capito che la sfida più grande da affrontare e vincere ogni giorno è migliorare la qualità della loro vita.  Sono genitori che hanno vinto una sfida difficilissima: cancellare il genitore e il bambino che hanno desiderato e cullato per chissà quanto tempo e reinventarsi con tutto l’amore, l’energia, il coraggio e la rabbia che questo processo richiede. Se penso alle parole di Voltaire, “La più coraggiosa decisione che puoi prendere ogni giorno è di essere di buon umore”, penso a questi genitori, e la loro immagine mi fa sorridere più fiduciosa.

“…ma l’impresa eccezionale, dammi retta / è essere normale”, “nessuno è normale se visto da vicino, sotto una lente d’ingrandimento.”

Chi ha ragione dunque, Lucio Dalla o la mia amica?

Entrambi, ognuno per le giuste motivazioni.

Luana Lamparelli

articolo pubblicato per la prima volta sul blog Caro Diario Social, 8 Febbraio 2019

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Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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