VIAGGIO IN FRANCIA – Parte prima

Una delle mete più romantiche e più rimandate della mia vita: la Francia.

Dire Francia significa dire Parigi. Ma Parigi non è forse come il verso più conosciuto, quindi più scontato che possa piacere, in una poesia?

Di Parigi ho visto paesaggi virare nei colori di campi e prati, ho scorto l’inizio della città coi suoi bistrot, le insegne, le boutique: tutto attraverso il finestrino di un bus partito dall’aeroporto di Parigi Beauvais.

Camminando sulle mie gambe – come sempre -, di Parigi ho percorso strade, atteso che semafori rossi dessero il via per passare dall’altra parte, ho circumnavigato con pensieri e sguardi il Palais de Congré, cercato l’entrata più vicina per la metro. Cercandola, la voce di Zazie nel metrò (la protagonista dell’omonimo romanzo di Queneau) mi tornava in mente e mi faceva sorridere: e se avessi trovato anche io, come lei, uno sciopero della metro e non fossi riuscita ad entrarci? Per scaramanzia, ho fotografato la prima insegna d’ingresso che ho visto spuntare tra foglie verdi. Poi ci sono entrata, in metropolitana: linea 1, direzione Gare de Lyon, tutto funzionava. Da Gare de Lyon ho raggiunto l’area di partenza dei treni Grandes Lignés, dove avrei dovuto semplicemente acquistare un biglietto dalle macchinette. Un imprevisto lungo il cammino c’è stato: la macchinetta non accettava banconote, solo monete. Ho dovuto rispolverare il francese che dall’infanzia ginevrina mi ha accompagnata sino a oggi, chiedere informazioni in giro per individuare l’Ufficio Relazioni col Pubblico (che si è rivelato inutile), combattere col tempo che stringeva, infine adottare il metodo più semplice: comprare della cioccolata al bar, rimediare monete col resto. Col titolo di viaggio in mano, il primo treno utile – quello per cui ho lottato contro il tempo, appunto – è stato mio. Destinazione Melun.

L’insegna della metro ripresa in foto per scaramanzia, temendo qualche sciopero come quello di Zazie nel metró di Queneau

“Come? Sei già a Parigi e stai già arrivando a Melun? Allora bisogna uscire per venire a prenderti! Dobbiamo andare a prendere Lulù, dobbiamo uscire, Lulù arriva in stazione! ”

T., al telefono, è letteralmente impazzita di felicità.

È lei il motivo del mio viaggio: trascorrere tre giorni con la mia T., nella sua terra d’adozione, quella a cui sempre torna dopo i soggiorni nella nostra Puglia, dopo i nostri giorni tra la Murgia e Ruvo, tra cene e notti tirate fino a tardi per poi dormire sotto lo stesso tetto, dopo lunghe conversazione a voce e luci basse. Cose che facevamo già a ventiquattro e venticinque anni, nella sua casa di famiglia di città, e anche in quella precedente ai tempi del liceo. È questo il motivo del mio viaggio: realizzare un suo desiderio, portarle la nostra felicità anche oltre confine, di persona.

Melun mi ha accolta con fiori colorati e ordine. La gente intorno a me, col suo accento, ha ricondotta lontano nel tempo, ai viaggi coi miei genitori.

L’aria di Settembre è clemente. Al mio arrivo, sapevo mi avrebbe attesa una piccola commissione speciale di benvenuto. Scendendo dal treno, ho imboccato l’uscita esterna della stazione, verso cui tutti i pendolari lavoratori si dirigevano, attraversato lo spiazzo, guadagnato il marciapiede più esterno.

L’ho vista di spalle, dall’altra parte della strada. Aspettava in piedi davanti all’ingresso principale della stazione. Per qualche istante ho assaporato, godendo in qualche modo e in una misura strettamente personale, la poesia e l’allegria del suo attendermi, trepidante e un poco ansioso: T. era lì, scrutava i volti dei passanti che lasciavano la stazione dall’ingresso principale, cercava il mio italiano tra sguardi estranei.

A un tratto si è voltata, si è guardata intorno.

È stato così che mi ha vista.

Su due margini opposti della strada, in un paese non nostro, ancora distanti ma con gli sguardi vicine, siamo scoppiate a ridere.

Con le nostre risate colorate, ci siamo venute incontro, ci siamo riabbracciate: adesso Melun era nostra davvero. Il vero viaggio poteva cominciare.

Se penso ora al mio viaggio in Francia, so per certo che è stato accompagnato da due romanzi, due saggi, una playlist (purtroppo) non ascoltata, la penultima fase di uno studio condotto per lavoro, tante novità da raccontare a T. che adesso sono ricordi.

So che la mia Francia ha assolto il compito di permettermi di “guardare”, d’ora in poi, i paesaggi di cui mi parla T. nei suoi messaggi vocali o nelle nostre telefonate su WhatsApp, quando mi racconta delle sue giornate oltre confine.

La mia Francia non include Parigi: una meta che mi sfugge da tanto, troppo tempo e volutamente evitata questa volta. Perché io volevo conoscere i luoghi più cari a T.

Se Parigi può aspettare, gli angoli di paradiso di T. no.

“Vedrai che la Francia ti piacerà, te ne innanorerai”, “Ti ci vedo in Francia, non vorrai più tornare”, “La Francia sarà la tua nuova musa”: qualcuno sapeva di questo viaggio a lungo cullato e aspettato. Quello che io non potevo immaginare era il senso più profondo e intimo, a tratti incondivisibile, che la Francia avrebbe avuto per me.

Un viaggio non è solo quello che viviamo: più che altro, io credo sia quello che ritroviamo di noi attraverso esso, o che sperimentiamo. La mia Francia, allora, cosa è, di cosa respira?

La mia Francia è fatta di paesi piccoli, luoghi incantati e incantevoli, borghi della upper class in cui io e T. abbiamo fatto ironia sulle nostre vite e su quella di Caterina de’ Medici. “Sicuramente la nostra antenata si sarà divertita molto, nel grande giardino del Château de Fontainebleau, lontana da casa”, abbiamo pensato rievocandola (e rincarando la dose).

La mia Francia è fatta di canzoni ascoltate in un appartamento che chissà se rivedrò, se rivivrò, la prossima volta che ci tornerò; canzoni che io e T. facevamo suonare già nella sua casa ruvese, quando ci svegliavamo nelle mattine dei nostri ventiquattro e venticinque anni, con le camicie da notte e le cene da organizzare per tutti quei ragazzi (nostri amici, soltanto amici) che puntualmente invitavamo, quando parlavamo dei nostri amori acerbi standocene sdraiate sui nostri corpi, appena sveglie, nella penombra di tapparelle appena abbassate. Parlavamo tra sogni e follie, col sonno ancora stampato in faccia. Ricordo che una di quelle mattine le ho detto: “Ma non potevo continuare a vedermi col dottore? Era così bello vedersi senza complicare nulla”, ignorando che di lì a qualche mese quel medico specializzando sarebbe diventato l’uomo per cui avrei cambiato tutta la mia vita, scoperto la vera me stessa. Il nostro passato può stare chiuso in una valigia lasciata alle nostre spalle, il futuro è sempre ignoto: è la Vita che ci chiede coraggio. Pochi giorni prima della partenza, sistemando una vecchia libreria, avevo ritrovato il cd che temevo perduto tra i tanti traslochi: quello con le nostre canzoni del risveglio, che raccontavano già della Francia da scoprire, del nostro futuro diverso e intenso, benché ignorassimo ogni cosa. Pensavo a tutto questo mentre io, col mio bagaglio presente ed essenziale, attraversavo la strada, riabbracciavo la mia amica più complice e cara di sempre, e insieme, poco dopo, con una manina piccina stretta nella mia e un passeggino impugnato da lei, percorrevamo la strada verso casa, la loro casa, la prima prettamente francese in cui io abbia dormito, dopo quella nel cantone francese di Ginevra.

Quando gli MP3 o Youtube erano utopie

Fontaineblueau,  Barbizon, Courances.

I loro scorci più belli.

L’arte, la bellezza, la freschezza di giornate calde al di là delle previsioni.

Una mostra fotografica di Steve McCurry ospitata nel paese degli impressionisti.

Visage de l’innocence, la mostra di Steve McCurry visitata a Barbizon

Un pisolino sul prato del castello di Fontaineblueau, aperitivi col Cap Corse Rouge di cui la Corsica si vanta, pranzi e caffè nei bistrot, scherzi nella chat con i nostri amici liceali, confidenze tra le strade di Melun, sottovoce, per evitare indiscrezioni perché “Qui io sono conosciuta”. Sperimentare la relatività della propria identità è sempre sorprendente per me. Un ciambellone preparato all’alba di un sabato mattina troppo mattiniero. Passeggiate. Ironia, considerazioni e valutazioni tra la rive gauche e la rive droite.

La Senna vista dal ponte di Melun che collega la terraferma all’isolotto centrale.

La mia Francia è fatta anche del desiderio di rivedere il sorriso che mi ha indotto in una follia di felicità a pochi giorni dalla partenza per l’Oltralpe. Partenza il 18 Settembre, rientro in Italia il 23, e il weekend precedente inaspettato. Gli imprevisti possono essere piacevoli. Anche questo è stata la mia Francia e non lo scorderò.

Ancora: il nostro scherzare, mio e di T., il nostro fantasticare, il nostro ripercorrere la strada fatta fino a questo momento delle nostre esistenze, il mettere a fuoco i nostri desideri e i prossimi obiettivi.

La cosa più bizzarra che abbiamo fatto: la domenica precedente il mio rientro in Italia, sdraiate sul suo letto matrimoniale a causa della mia schiena bloccata (esattamente il giorno prima della partenza, ndr), mentre suo marito e i suoi bambini erano fuori, tramite il mio profilo Facebook (lei non è presente sui social) abbiamo visto tutti i nostri ex. Quante volte abbiamo detto Ci è andata bene, vedendoli così di colpo invecchiati, e brutti, e un po’ spenti?

Abbiamo quella scintilla, io e lei. Quella complicità e immediatezza d’intesa che in nessun’altra donna troverò mai. Alle volte ci scherziamo su: se fossimo state lesbiche, saremmo state perfette e felici, come coppia. Invece ci piacciono gli uomini, forse la cosa di cui andiamo più orgogliose (scherzo). Sarebbe bello per me avere la stessa intesa con un uomo speciale.

Le confidenze, i segreti, le speranze e le paure: cose che tra me e T. sembrano non conoscere limiti. Abbiamo sempre qualcosa per cui rivelarci ancora. Avevamo quattordici anni quando ci siamo viste per la prima volta. Adesso progettiamo il viaggio con cui festeggiare i nostri prossimi quaranta.

Conoscersi da un quarto di secolo non significa essersi conosciute una volta per tutte: significa ri-conoscersi ogni volta, ogni volta scoprire un po’ di più le ferite e il fuoco che ci fa sentire vive, che ci abita dentro.

Il mio viaggio in Francia è stato prima di tutto una sfida. Una sfida con me stessa.

Non avevo mai viaggiato da sola, all’estero.

Se ci sono riuscita, devo dirlo e raccontarlo, è stato merito di T. e del mio migliore amico di sempre. Ci siamo conosciuti tutti e tre a liceo, eravamo nella stessa classe. T. mi ha descritto il percorso da fare per raggiungerla a Melun, io l’ho riportato nero su bianco, su un foglio che è stato mio compagno di viaggio. Lui, invece, il mio #bff (#bestfriendforever) mi ha “accompagnata” virtualmente, prima studiando con me il percorso su Internet, tra Google Maps e immagini, nel suo studio a Ruvo, poi durante le diverse tappe, in remoto.

C’è anche un’altra persona che mi ha fatto compagnia, che ho portato con me in questo viaggio.

Ha il nome della notte più bella che aspetto da sempre. Come quella notte, il suo nome conduce a me desideri che non so se si avvereranno.

La mia Francia sarà sempre queste tre persone. Perché i viaggi più belli non attraversano le terre, ma rinsaldano i nostri cuori.

Luana Lamparelli

(ovvero una scrittrice chiamata in infiniti altri modi: Gigetta dai mille colori, Brigitte e Lulù sono solo i più soliti, utilizzati dal 2004 a oggi,da chi l’ha incoraggiata prima e più di tutti a scrivere, a coltivare il suo sogno)

Moi et T.

Tutte le foto presenti in questa pagina sono state scattate durante il mio viaggio a Melun, passando per Parigi e Fontainebleau.

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Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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