CEDERE – e altre cose dette d’amore

Intervista ad Alessandro Ardigò

È pensiero diffuso che la poesia sia cosa complessa, complicata e difficile: sarà colpa della polisemia che apertamente dichiara per ciascuna parola scandita. O delle metafore, delle figure retoriche. Eppure in ogni istante delle nostre esistenze, ogni singola parola – letta, ascoltata, ritrovata – può condurre in caduta libera su ricordi, sentimenti, emozioni, sensazioni. Che stiamo guidando, lavando piatti, spingendo carrelli della spesa, la poesia è lì in agguato, per ricondurci a noi o lontano da noi, in un presentarsi di più significati legati e annodati alla nostra storia interiore, privata, a tratti segreta.

Quando questa intervista è stata pubblicata per la prima volta era Febbraio 2022: dopo tantissimo tempo, era il nuovo articolo sulla
mia rubrica Discorso per appunti, pubblicata su varie pagine della LiveNetwork. In quel periodo il mondo appariva notevolmente cambiato dal primo articolo della stessa rubrica. Green pass e alte espressioni avevano segnato una nuova era. Avremmo mai potuto immaginarlo?

Tra interrogativi e considerazioni, nuove realtà e verbi prima trascurati si sono imposti sempre più, anche se silenziosamente, insegnandoci la necessità di tornare – alla vita, alla convivialità diffusa – ma anche nuovamente imparare. Talvolta, comportamenti e inclinazioni nuove; altre, quello che sapevamo fare.  Un verbo in particolare mi ha affascinata, di recente: “cedere”, in copertina a un libro, nel titolo dell’opera.
Ora riporto questa intervista anche sul mio sito, dopo oltre un anno, senza ulteriori modifiche. Siamo tornati a vivere come prima, anche se molte cose sono cambiate definitivamente – e talvolta rimangono nel silenzio; eppure cedere resta un verbo bellissimo per le stesse ragioni che mi avevano indotto a preferirlo due anni fa.

Due anni fa avevo deciso di riprendere questo “Discorso per appunti” da cedere perché lo reputavo e lo reputo tutt’ora un verbo che occorre imparare a coniugare, soprattutto in virtù dell’amore e dell’amore per noi stessi, nella sua polisemia.

Cedere, nella sua connotazione positiva: cedere il passo, cedere la parola, cedere il posto; cedere i propri giorni al vuoto che può diventare spazio rinnovato.

Cedere, nel suo composto di con-cedere, che ci pone costantemente in cor-relazione.

Al tempo stesso, cedere nella sua connotazione di smettere di opporre resistenza, di sottostare, il più delle volte a quello a cui noi diamo potere, consenzienti o inconsapevoli. E quindi cedere come processo di sottrazione che segna il passo al moltiplicare del proprio potenziale.

Se tali valutazioni, strettamente personali, sono nate dalla lettura del titolo, in un libro ho ritrovato – pagina dopo pagina – quello che siamo: noi, con le nostre connessioni e i frammenti dell’io, col rinfrancarci e il dissiparci per poi ricomporci in nuovo ordine, tra amori nati, finiti e rincorsi tra mail, social ed etere. Si tratta del nuovo libro di Alessandro Ardigò, che non è mera silloge di poesia e prosa: è immagini vivide di stati interiori e momenti quotidiani, tutti che ci appartengono. A sottolineare ciò e arricchire l’opera di suggestioni, la presenza delle fotografie di Eugenio Tonoli, rigorosamente in bianco e nero.

“Ma provaci – le dissi –

a lasciare la tua luce proverbiale

immergendoti nel mondo.”


Alessandro Ardigò, “Cedere – e altre cose dette d’amore”
Scatto di A. S.

“Un puro azzurro si ferma sulla fronte


oltrepassando il muro d’alberi al cielo.


Sono le vie antiche


della solarità.”

Alessandro Ardigò, “Cedere – e altre cose dette d’a6more”
Scatto di A. S.

L.L. Come nasce “Cedere”, sulla spinta o l’esigenza di quali sentimenti e quali prospettive?

 A.A. “Cedere – e altre cose dette d’amore” nasce dall’urgenza della parola poetica, dalla necessità della poesia per raccontare la vita sotto forma di canto.

La capacità espressiva della poesia – espressiva proprio in senso etimologico di ex-premere, cioè “tirar fuori” –

è stata più forte di ogni altro progetto. Nonostante dopo il primo libro avessi cercato di fuggire dalla poesia, di evitarla, essa si è ripresentata e si è imposta come qualcosa di ineludibile. Per intenderci, io vengo da un libro che si intitola “Prosimetro moderno”, composto da un’alternanza di racconti e poesie. L’idea era quella di proseguire con un libro esclusivamente di racconti. L’avevo già impostato, avevo trovato i temi, i soggetti, il titolo addirittura, le note di sottofondo che volevo far risuonare. Mentre mi mettevo a imbastire i testi, però, la poesia, così legata alla vita, al suo Ruire emotivo, veniva a bussarmi con dei versi, delle immagini, delle suggestioni. La poesia è stata così dirompente che alla 1ne ho archiviato – e spero solo rimandato – la stesura dei racconti. Man mano che accumulavo materiale poetico, nella mia mente si delineava la strada stilistica e contenutistica da percorrere. Sentivo che dovevo staccarmi dalle logiche del libro precedente, basato sul miscuglio fra prosa e poesia, e cercare una via più sottile, più ariosa, più staccata. Istintivamente allora ho guardato a Sandro Penna, che è uno dei miei grandi autori, che ciclicamente rileggo dall’adolescenza. Ho guardato alle sue quartine così pulite, fatte di settenari o di endecasillabi, una poesia monda dall’impaccio della prosa. Ho pensato che era la pulizia del verso e della sintassi il luogo dove far deRagrare la tensione. Sono convinto che si possano percepire meglio le varie conRittualità e sentirle risuonare più potenti usando parole e versi chiari, proprio grazie al contrasto fra la visceralità delle emozioni e la pulizia del verso. Quella di “Cedere” è una poesia che fugge dall’analogia, basta leggere l’inizio:

Non alludiamo a nulla.

Soltanto gli dèi dell’abisso alludono, per restare incapiti.Soltanto gli dèi dell’abisso alludono, per restare incapiti.

Alessandro Ardigò, “Cedere – e altre cose dette d’amore”


L.L. La tua opera si divide in due parti. Nella prima prevale la poesia come stato emotivo interiore; nella seconda, la realtà corrosiva dei social, di internet, della frenesia. Una dicotomia, quasi? Come dovremmo leggerla?

A.A. La poesia indaga il reale con una con una capacità di sintesi che poche altre arti hanno. Secondo me, esiste una vera e propria euristica della poesia, cioè una capacità di scoprire verità, verità che le sono proprie e che nascono in relazione al suo linguaggio. Per questo i versi sono preziosi. Essi attribuiscono parole alla nostra interiorità, parole che risuonano profondamente con essa, ma non solo. Le verità della poesia sono anche necessarie alla comprensione del mondo esterno. Una comprensione poetica, cioè sottile, ulteriore – “al di là” – e a un tempo potente. Per questo in “Cedere” non si rinuncia alla lettura del “fuori”, dell’esterno. Un esterno contemporaneo, sociale; si cerca di ricostruirne le dinamiche e di proporle allo sguardo del lettore in maniera sintetica ed esteticamente significativa.

Il libro è costituito da sette capitoli: Il Piacere, Amorose, Visioni, Elementari, Pianeta Coma, Pezzi, Ritorno. La parte più propriamente rivolta all’analisi della realtà contemporanea è il capitolo sesto, Pezzi. “Il Piacere”, il capitolo primo, è invece legato a una riRessione sul rapporto fra la parola e la percezione. “Amorose” è la parte più corposa del volume e narra di una relazione emotivamente densa ma distruttiva. “Visioni” si

incentra sui temi del simbolo e della morte. “Elementari”, il quarto capitolo, vuole raccontare invece la Natura e la sua immediatezza, ma al contempo la sua forza. “Pianeta Coma” è un capitolo che si sviluppa al limite, al limite del Coma appunto, fra un “al di qua” e un “al di là”, fra lo spegnersi dell’io e le immagini dell’infanzia che si aIacciano alla mente. “Ritorno”, il settimo e ultimo capitolo, ripercorre e chiude i temi principali del libro, in particolare quelli della relazione di cui si è parlato in “Amorose”.

L.L. Nel tuo libro troviamo anche fotografie suggestive. Come nasce l’intarsio tra la tua arte e quella dell’autore fotografo, fino a conRuire in quest’opera?

A.A. Lui è Eugenio Tonoli, un giovane fotografo di Verona. L’idea di unire le sue foto alle mie parole ha fatto capolino ad uno stadio abbastanza avanzato della lavorazione al libro. Quando ho visto le sue fotogra1e su Instagram ho pensato che il suo stile fotogra1co potesse essere attiguo al mio. Uno sguardo un po’ discosto, una sintassi lineare, una prima lettura volutamente veloce. Dopo la prima lettura però la domanda: – Be’, ma cosa ho letto?. Allora deve seguire una seconda lettura, poi una terza, per vedere, si spera, sgorgare sempre signi1cati nuovi. Così ho scelto le sue fotogra1e, che sono frutto di una reazione istintiva nei confronti della realtà di tutti i giorni, nella ricerca di signi1cati metaforici alla quotidianità, in una sorta di “poetica dell’ordinario”.

In questo “discorso per appunti” che a singhiozzi conduco da oltre un anno, tra lunghe assenze e ritorni imprevedibili, mi accorgo della necessità di imparare a cedere, in tutte le sue connotazioni. Dovremmo imparare a cedere, come sinonimo di essere inclini alla bellezza, che non è categoria o etichetta, ma modo profondo di sentire, essere e agire. Talvolta, di dimenticare e lasciar andare, o più coraggiosamente far spazio e lasciar accadere.

Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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