Ciao, uomo di Tiresia

Era il 17 Luglio 2019, poco più di un anno fa, quando lo scrittore Andrea Camilleri ci ha lasciati.

Ci ha lasciati l’uomo, ci ha lasciati lo scrittore. Soprattutto, ci ha lasciati la sua grande mente capace di respirare sempre e non essere accecata mai.

La sua vita ha tanto da insegnarci, la tenacia e il coraggio soprattutto, insieme al non arrendersi, anzi: insieme all’arrabbiarsi e mescolare quella rabbia alla propria passione. Forse nasce così la determinazione, quella che segna l’obiettivo e manda tutti al diavolo.

Chissà come si sono sentiti i primi dieci editori che hanno scartato il suo primo romanzo, Il corso delle cose, quando hanno visto letteralmente volare Camilleri sulle loro teste, anni dopo e lavori acclamati dal pubblico su ogni fronte. “È il corso delle cose” direbbe forse oggi con la sua ironia, anche in merito alla sua scomparsa, lui che era felice di vivere e non temeva la morte.

Il suo primo romanzo nasceva per una promessa fatta a suo padre: quella di scrivere la storia che Andrea aveva inventato per lui accudendolo in ospedale prima che morisse. Fu proprio suo padre a dirgli di scriverla così come l’aveva raccontata a lui, con quelle espressioni dialettali che colorivano e intensificavano la narrazione, la rendevano più vera, più verista. Una storia, quella narrata nel primo romanzo, nata parallelamente alla vita reale. La vita di uno scrittore è così: procede in parallelo su due, tre o più binari, portandolo in diverse dimensioni, e non sempre quella sua privata e personale viaggia sugli stessi stati d’animo narrati. I personaggi hanno una vita propria, a un certo punto, e lo scrittore, volente o nolente – devi seguirli, assecondarli, stargli dietro. Non si può fare altrimenti. Così come lo stesso Camilleri racconta ne I racconti di Nenè:

Fin quando un personaggio non è in grado di alzarsi dalla pagina e cominciare a camminarmi per la stanza, quel personaggio, secondo me, ancora non è risolto”.


(da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli)

Molti aspetti ci fanno quasi dialogare con Camilleri, attraverso le sue opere e la sua biografia, secondo la logica fantasiosa e immaginifica che è la potenzialità creativa dell’opera d’arte, come ci insegna la poesia, quella che ci consente di immaginare dialoghi con gli autori e, intanto, di ricreare l’opera d’arte stessa. Perchè, diciamolo, Camilleri è stato un’opera d’arte in carne e ossa, e sigarette e coppola.

Su tutti gli elementi biografici, emerge presuntuosa Alice nel paese delle meraviglie: è leggendogli e narrandogli di Alice che sua nonna materna ha saputo fascinare e avvicinare inesorabilmente Camilleri bambino alla letteratura, aprendogli quel mondo fantastico che sa diventare concreto nell’immaginazione e sulla carta, intorno a noi. Alice, quella storia a cui molti sono legati, in cui la fantasia gioca con elementi matematici (e non) nascosti nell’opera da Carroll.

Purtroppo non potremo mai vantare, noi scrittori del ventunesimo secolo, di essere stati  inseriti, come lui, il maestro del Novecento sfociato nel secolo successivo, in una antologia di poesie scelte da Ungaretti, ma è bello sapere che emozioni da lui provate possono diventare, in qualche modo, anche le nostre. Così come è bello leggere e scoprire i diversi passaggi epocali che hanno segnato la sua vita, oltre che la sua carriera di scrittore: sono i momenti in cui ha conosciuto grandi nomi del panorama culturale e intellettuale italiano, da Pirandello a Sciascia, a De Filippo a Rascel, con aneddoti che sono, probabilmente, il più bel romanzo che Camilleri abbia potuto vivere: la propria vita.

– Nonna, di là c’è un Ammiraglio che dice che si chiama Luigi Pirandello.
– Oh Madre Santa – esclama mia nonna.


(da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli)

Il suo dialogo fortunato con Angelica Balabanoff, una delle maggiori rivoluzionarie del socialismo italiano, da Camilleri casualmente incontrata al tavolino di un bar, ci invita a essere sempre gentili e disposti all’ascolto, ad accogliere l’estraneo, perché potrebbe riservarci grandi sorprese, e l’ascolto è molto meglio dei soliloqui fini alla referenzialità, contrariamente a quanto molti credono. E poi la musica, il jazz, le amicizie storiche e gli incroci casuali e causali. Sono tanti i nomi e i vissuti che possiamo incrociare leggendo i Racconti di Nenè, nonmi della storia della nostra Nazione.

Quante cose ci faranno sentire la mancanza di questo scrittore, quasi nonno e vate per tutti noi?

Di Camilleri amo lo sguardo personale che ci dona sull’amore e sulla sua esperienza di esso. In particolare quando afferma:

Ora, io certe volte devo confessare che forse, non per il mio mestiere di scrittore, non perché devo raccogliere il materiale (il materiale non si raccoglie), rimango affascinato da persone mai viste prima, che incontro in autobus, in tram, al mercato, in tabaccheria, per come si muovono, per quello che dicono. Sono attimi che nascondono la prismatica realtà dell’uomo, così diversa. È questo che costituisce il fascino, quello vero, quello della conoscenza dell’uomo.

(da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli)

L’importanza che ha Camilleri, oggi come ieri e per sempre, con una prepotenza gentile e sapiente, non è legata solo al nostro panorama culturale, ma anche e soprattutto al nostro orizzonte sociologico e pedagogico, quell’orizzonte che dobbiamo ampliare sempre più in questo periodo storico contingente, periodo di crisi etica che viviamo e percorriamo. Richiama, il Maestro novantatrenne, il filosofo Lévinas, il cui impianto teorico filosofico si fonda sull’apertura all’Altro e sull’importanza di riconoscere l’Altro, riconoscerci in esso. “L’altro è apertura verso l’Infinito”, asseriva Lévinas. “Non bisogna mai avere paura dell’altro, perchè tu rispetto all’altro sei l’altro”, afferma Camilleri con lucidità, fermezza e apertura di veduta. A dispetto della sua cecità senile, quella che gli ha fatto scoprire altri modi di percepire la realtà e stare al mondo, quei modi che potremmo respirare vivendo al fianco di persone non vedenti.

Non vedo più, ma sogno.


(Andrea Camilleri)
Immagine dal web

La verità è che scrivere è sognare e vivere insieme, che ad occhi chiusi si percepisce il sentire senza le sovrastrutture mentali capaci di arrecare male, dolore e sofferenza; la verità è che ad occhi chiusi la bruttezza e la cattiveria hanno una eco ben peggiore che ad occhi aperti, lontano dal cinismo e dall’anestesia cui il tram tram quotidiano ci sottopone.

Non a caso, è Tiresia che Camilleri sceglie come pretesto letterario per il suo grande, ultimo discorso solitario e profondo: Tiresia, l’indovino cieco dell’Odissea, che ha vissuto sia l’essere donna sia l’essere uomo, diviene specchio di sé stesso per interrogarsi, parlare di sé attraverso la vita vissuta e la storia attraversata, meditando sul tempo, sulla memoria, sulla cecità, sul viaggio, sinonimi dell’invenzione letteraria, anzi sue matrici.


Chiamatemi Tiresia, sono qui per raccontarvi una storia più che secolare che ha avuto una tale quantità di trasformazioni da indurmi a voler mettere un punto fermo a questa interminabile deriva. A Siracusa vi dirò la mia versione dei fatti, e la metterò a confronto con quello che di me hanno scritto poeti, filosofi e letterati. Voglio sgombrare una volta per tutte il campo da menzogne, illazioni, fantasie e congetture, ristabilendo i termini esatti della verità.”


(da Andrea Camilleri, Conversazione su Tiresia, Sellerio Editore)

Ha ancora molto da raccontarci e insegnarci Camilleri. Sia delle sue imprese realizzate sia di quelle mancate e rimpiante.

Che il nostro dialogo con te possa essere eterno, divino e umano insieme.

Ciao, Uomo di Tiresia.

Luana Lamparelli

Articolo pubblicato per la prima volta su Il Progresso:

Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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