Immagini – intervista ad Alessandro Pession

Un fotografo: uno sguardo sul mondo come una carezza e una saetta al tempo stesso, il guizzo della mente che coglie l’insolito dell’ordinario e lo declina velocemente, tra linee invisibili e prospettive.

Un fotografo: un occhio strizzato dietro l’obiettivo, un po’ come l’occhio dell’orologiaio strizzato nella piccola lente d’ingrandimento, per riparare i meccanismi di microcosmi millimetrici.

Entrambi guardano il tempo come nessun altro: il primo per fermarlo, il secondo per dargli vita oltre gli inceppi della Vita.

La fotografia è la prima forma artistica con cui sono entrata in contatto. Il frammento di un’immagine racconta molto più di un racconto, se si ha una mente curiosa, attenta ai dettagli. La pazienza che richiedono gli ingranaggi degli orologi da riparare, invece, è la prima forma di beatitudine e saggezza che ho ammirato. Entrambe queste passioni-professioni (quella del fotografo, quella dell’orologiaio), mi hanno accompagnata da subito e inconsapevolmente, ancora oggi mi portano per mano.

Il potere immaginifico della parola, la capacità di sospensione del tempo: questo io cerco e ricerco con la mia scrittura, nel tentativo di dare voce anche a storie così lontane da me e a me estranee, magari più vere e realiste nella mente del lettore.

Sono cresciuta fotografando, collezionando macchine fotografiche, studiando inquadrature e prospettive. Al polso sempre un orologio creato da pezzi diversi: un pezzo unico ogni volta, se vogliamo, grande orgoglio. Di allora mi restano i ricordi e il potere di immaginare, guardare, contemplare il silenzio nelle sue forme possibili di passato presente e futuro, prima di raccontare.

Mio nonno era orologiaio, mio padre fotografo, io scrivo. Chiunque mi mostri un modo nuovo di declinare queste tre variabili – tempo, immagine, sguardo-, io desidero incontrarlo.

Tra i fotografi che conosco, straordinario è l’incontro del tutto casuale, divenuto subito collaborazione e amicizia poi, con Alessandro Pession. Torinese doc classe 1966, finalmente sono riuscita a smuovere la sua riservatezza e ottenere un’intervista da condividere.

Il “Dietro le quinte” di questa intervista è solo un frammento di più racconti che si potrebbero rivelare.

Alessandro Pession, ritratto

L.L. Qual è il tuo rapporto con la macchina fotografica?

A.P. È certamente un rapporto molto intenso, sia sotto l’aspetto affettivo che sotto quello fisico.

Affettivo perchè, oltre a essere da sempre il mezzo che mi permette di catturare istanti, ricordi ed emozioni, trovo che sia un oggetto bellissimo, un oggetto con un’anima.

Fisicamente, quando impugno la macchina fotografica, ho la sensazione di avere una meravigliosa arma in mano, perchè innocua ma di una potenza enorme.

Il peso stesso (con alcuni modelli fra corpo e obiettivo non è difficile arrivare a più di 2/3 kg) diventa sensazione di stabilità, solidità, fiducia.

L.L. Quando hai iniziato a fotografare e come è cambiato nel tempo il tuo approccio alla fotografia?

A.P. Già da bambino rimanevo incuriosito dalle Minox di mio padre, e mi divertivo a capirne il funzionamento, le tecniche di base.

Attorno ai vent’anni mi sono fatto regalare la mia prima macchina fotografica, una Olympus 40. E da lì ho iniziato a esplorare. Non ho mai frequentato scuole o corsi dedicati.

Ho avuto la fortuna di avere in passato amici appassionati e preparati, con i quali condividevo, discutevo, e dai quali soprattutto assorbivo.

Con il tempo è diventato anche un lavoro.

L.L. Cosa è per te la fotografia?

A.P. Una passione meravigliosa, un mondo dove perdersi e ritrovarsi, un gioco infinito con la luce, con le ombre, una connessione meravigliosa con i soggetti che i miei occhi vedono, cercano, trovano, sentono, laghi, fiori, muri, visi, corpi, boschi, o strade che siano.

Fotografare per me è essenzialmente una questione di equilibrio.

Equilibrio tra luce e ombra, tra sogno e realtà, tra il tutto e il niente, tra forza e delicatezza, tra corpo e anima,

tra il verde e il blu.

Alessandro Pession

L.L. La fotografia può essere asettica. Quando e come, invece, racconta qualcosa che nella mente dell’osservatore può vivere in un modo strettamente personale?

Qualsiasi soggetto esprime qualcosa. Come un quadro astratto, può essere letto e percepito a seconda che l’occhio – ma soprattutto il cuore – di chi guarda sia allenato e onesto, senza aspettative né pregiudizi né arroganza. Le emozioni sono solo in attesa di essere risvegliate, se davvero lo si vuole.

L.L. La fotografia è fatta di linee, angolature, luci, esposizione, prospettive. Cosa guardi, a cosa presti attenzione per prima cosa quando decidi di fotografare?

A.P. Sono cresciuto professionalmente come grafico, e poi come art-director. Va da sé che la composizione di un’immagine, sia di un paesaggio che di un ambiente o di una figura umana, ha per me un’importanza fondamentale. L’equilibrio delle forme, delle cromie, dei contrasti stessi, di luce o di materia, è ciò che guardo da subito. Direi d’istinto.

L.L. Cosa deve fare, dal tuo punto di vista, la fotografia? Cosa può fare per l’uomo?

A.P. Come forma artistica può fare moltissimo, e come tutta l’arte è una meravigliosa terapia, non invasiva, multiforme, silenziosa, e così potente.

L.L. Oltre alla tua professione, alla tua fotografia artistica, so che ne hai un’altra: quella per la musica. Che, insieme alla fotografia, sempre accompagna il mio lavoro di scrittura. Posso chiederti una scaletta di sette tracce per i lettori di Circo Lamparelli?

A.P. Amo la musica in ogni sua forma, e qui c’è il rischio concreto di perdersi… (ride, n.d.r.), per cui mi limito al Rock (and Folk)

  1. Fleetwood Mac – Dreams
  2. Cure – Disintegration
  3. Bob Dylan – Most of the time
  4. Dire Straits – Tunnel of love
  5. Neil Young – Cortez the killer
  6. U2 – Where the streets have no name
  7. Joy Division – Shadowplay

(Vi svelo un segreto: Alessandro mi ha fatto conoscere tantissimi artisti e tantissimi brani meravigliosi)

L.L. C’è qualche fotografo a cui ti ispiri o che ammiri particolarmente? C’è qualche artista o brano musicale che ti accompagna mentre lavori o scatti?

A.P. La lista sarebbe piuttosto lunga. Le ispirazioni sono innumerevoli e variano a seconda del genere di lavoro o della ricerca del momento. Fra coloro considerati maestri, dovessi dire quattro nomi per qualità, creatività, stile e gusto sarebbero questi: Irving Penn, Tim Walker, Nick Knight, Richard Avedon.

L.L. Se non avessi intrapreso la strada artistica e professionale, cosa pensi che saresti diventato o chi avresti voluto essere?

A.P. Ho frequentato, non per molto tempo, la facoltà di Architettura. Sarei potuto diventare un designer, forse anche un progettista.

Ma in fondo, con il senno di poi, avrei voluto essere un musicista, anzi per la precisione una rock-star, sul serio. (E torna a ridere con dolcezza, ndr)

L.L. Qual è il lavoro di cui sei più fiero?

A.P. È difficile dirlo. Ogni progetto porta con sé problematiche di produzione e destinazioni d’uso differenti. A volte ci vuole molta fatica per realizzare immagini su commissione, per motivi di budget, tempistiche, aspettative. La gratificazione che segue il risultato è innegabile. Ma se proprio devo dire, il lavoro di cui sono più fiero sono i ritratti che realizzo. Quelli dei miei due figli.

Alessandro Pession mentre ritrae sua figlia Bianca
Ludovico Pession ritratto da suo padre Alessandro

L.L. C’è un libro dedicato a Walter Pession. Vorrei fossi tu a parlarne.

A.P. Ho immaginato e realizzato il libro su mio padre alcuni mesi dopo che ci ha lasciato.

Ho raccolto tantissimo materiale, trovandone anche di inedito, dai miei fratelli, da amici, famigliari. Fotografie, sue e di tutti noi, i suoi scritti, i suoi quadri, i suoi oggetti, li ho fotografati, elaborati, impaginati, prendendo in mano la sua memoria, la sua vita. Ne è uscito un lavoro bellissimo, emozionante, credo unico nel suo genere. Senza tempo.

Dal libro su Walter Pession
Dal libro su Walter Pession

L.L. Cosa ami di più catturare attraverso la fotografia?

A.P. Dire l’essenza delle cose, l’anima delle persone, le vibrazioni emesse dalla luce su un oggetto, sulle cose, organiche o inorganiche che siano. Sembra scontato, ma è così.

L.L. Descriviti in tre aggettivi, dedicaci una fotografia, una canzone e una citazione a te care.

A.P. Curioso, eclettico, meticoloso.

“Gli uomini fanno progetti e gli dèi sorridono”, citazione dello scrittore israeliano Meiv Shalev tratta dal suo romanzo Per amore di una donna.

La canzone: The Anthlers, Palace.

Vi dedico una delle mie ultime foto di fiori. Si tratta di una rosa. Adagiata su sé stessa, come in attesa, in una luce metafisica. Una sensazione di calma e pace ma allo stesso tempo percepibile come vibrazione ormai prossima a diventare nuova realtà, forse nuova forma, nuovo spazio.

L.L. Come nasce Komorebi e come mai hai deciso di coinvolgere una piccola autrice pugliese?

Nasce credo per dare un senso ulteriore ad alcune mie fotografie di fiori. Ognuna di esse trova completezza dal rapporto con le altre, dall’essere racchiuse tutte e quattro insieme in un unico contenitore che non è solo quello cartaceo, ma anche e soprattutto quello metafisico.

E la poesia della piccola autrice pugliese, con cui si apre la visione, è un ingrediente basilare. Rende il tutto ancora più omogeneo, delicato, personale. In una parola, sublime.

Komorebi

Komorebi è un progetto fotografico nato a Dicembre scorso.

Nel Nord Italia ci sono cinquanta copie di una mia poesia sconosciuta ai più. Una poesia a cui non avrei pensato di lavorare, la prima nata “su commissione” ma non per questo priva di sentimento, emozioni tradotte in parole e parole evocative di immagini precise.

Pession da Torino, “la città del cinema e delle automobili, dei palazzi reali e dei parchi lungo il fiume, dei giovani musicisti ribelli e della moda altera e coraggiosa” (come la definisce lui stesso nella sua biografia), invia mail a Sud Italia: canzoni, fotografie, numeri e loro significati, parole giapponesi soprattutto. Un lavoro di ricerca, scoperta soprattutto, e bellezza, tanta bellezza.

Adesso sorrido, perché una di quelle copie numerate è affissa in un importante studio legale: in qualche modo, una protagonista ha rimesso piede tra codici civili e scartoffie d’ufficio come solo i lettori di Piccoli silenzi desiderabili possono sapere.

Komorebi (che in giapponese rappresenta la luce smorzata che filtra le foglie tra gli alberi, quindi uno stato d’animo, un’atmosfera leggera e sottile ma intensa insieme) è solo l’ultimo progetto privato di Alessandro Pession. Prima c’è stato Nove, di cui riportiamo qui un frammento.


Una delle fotografie del progetto Nove di Alessandro Pession

Dietro le quinte

Luana, dove vorresti vivere se dovessi trasferirti in un’altra parte dell’Italia?

Guardo la cartina geografica dispiegata sotto i miei occhi. Punto lo sguardo su un nome.

Torino, rispondo. Torino che è solo un nome.

A chiedermelo è un fotografo che tante volte mi ha rimproverata per l’accesso nella camera oscura, quella stanza dove si respira odore di acidi per lo sviluppo delle pellicole fotografiche, dove la luce ha un colore surreale e, nel passare un foglio bianco da una vasca all’altra, l’immagine prende colore e forma, contorni e nitidezza.

Ho dieci anni.

La fotografia mi affascina, ma è la parola il mio modo di fissare lo sguardo sul mondo, di misurarlo e conoscerlo.

La fotografia continua ad affascinarmi.

Quanti anni sono passati?

Esiste un’immagine di cui una donna un giorno si è innamorata. L’immagine capita a caso tra mille, ma non esiste il caso, si sa. La donna scrive di getto delle parole. Le parole sanno essere sorprendenti e spiazzanti, alle volte.

Quelle parole sono lo specchio, esattamente come l’immagine che si riflette tra le lenti della macchina fotografica che ha raccolto le geometrie. Dall’altra parte delle parole c’è lei, dall’altra parte dell’obiettivo c’è lui: è così che si incontrano e iniziano a parlare.

La creatività genera altra creatività.

Adesso a Torino c’è un regalo di Natale che attende di essere scartato. Le rose sono sbocciate da tempo, il fiume scorre. Ogni cosa cambia. Ma lo scrittore e il fotografo lo sanno: è nell’attesa che si avvera l’istante perfetto. Ogni cosa sa aspettare. L’amicizia è il dono più bello.

Luana

Da un diario personale dell’art director Pession

Se volete scoprire di più: www.alessandropession.com

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Fotografie presenti nell’articolo: ©ALESSANDRO PESSION

Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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